E’ da oramai 3 giorni che mi gira in mente un post che abbia per titolo “Regolamentare la disinformazione“, tempo tiranno e incapacità personale di produrre contenuti degni di nota mi hanno impedito di pubblicare alcunché. Ma ecco che anche questa news inizia a prendere definitivamente forma ed a vedere la luce.
L’altro giorno ho aggiornato la mia brevissima presentazione personale aggiungendo il paragrafo:
Odio la disinformazione in ogni sua forma, ma non prendetemi mai troppo seriamente. Sono uno di quelli che critica bene e razzola male, purtroppo è un algoritmo codificato nel mio microchip sottocutaneo.
Considerando che la stupidità umana non ha limiti, facciamo una premessa: se hai appena letto la citazione qui sopra e non riesci a comprenderla appieno, non proseguire nella lettura.
Penso di aver già dato personalmente quella che ritengo essere una buona definizione del termine “informazione”, paragrafi 7 e 8 di questo altro mio precedente intervento. Ma per quanto io possa scrivere, restano comunque parole campate per aria che nemmeno sfiorano l’obiettivo che dovrebbero avere… i disinformati, destinatari del messaggio, ahimé non sono il mio target attuale d’utenza.
Cosa si potrebbe fare per limitare questo triste fenomeno? Le idee che mi sono più o meno serie, ma comunque diversificate:
- tassare gli introiti derivanti dalla pubblicità online nei siti di disinformazione
- riformare le definizioni di stampa e stampato unificandole a livello mondiale
- applicare le leggi esistenti in maniera costruttiva e non distruttiva
L’ipotesi n. 1, l’unica che analizzeremo oggi, si scontra con l’impossibilità legislativa di dare una definizione del termine “informazione”. Inoltre a rigor di logica dovrebbe colpire solo siti che fanno informazione in maniera volutamente erronea, e non siti che di informazione proprio non ne fanno. Non sono un giudice o un avvocato, la giurisprudenza non l’ho nemmeno mai vista col binocolo, ma resto dell’idea che questa abbia da rimanere semplicemente una idea irrealizzabile per come è formulata. Le cose si semplificherebbero se eliminassimo le ultime 4 parole, riducendo la frase a “tassare gli introiti derivanti dalla pubblicità online”… ma con quali conseguenze? In primis, le entrate derivanti da pubblicità online dovrebbero essere già tassate: questo ci rimanda al punto 3 di questo stesso post. In secondo luogo, ha senso monetizzare le visite degli utenti online estorcendo denaro a fini di visibilità? E’ questo il web che abbiamo costruito in tutti questi anni? E’ forse questo il web che volevamo? Cos’è andato storto?
Il problema quindi ha da ricercarsi più alla radice, e necessita di una soluzione più drastica. Dobbiamo reinventare la ruota, che evidentemente ci è sfuggita di mano, e ripartire da 0. Dobbiamo riportare Internet ad essere una rete decentralizzata e paritaria, abolendo di fatto qualsiasi tipo di architettura client-server. Tutto ciò porterà ovviamente ad un inevitabile scontro tra virtuale, utopisticamente perfetto, e reale, effettivamente imperfetto. E’ un braccio di ferro, e ci potrà essere un solo vincitore. L’anarchia o le regole.
Può l’anarchia essere la reale soluzione al nostro problema iniziale, e quindi eliminare di fatto ogni interesse economico alla radice per portare alla totale inutilità del fenomeno disinformazione? Forse, come dicevo poco prima. A livello teorico sì. A livello pratico, fino a che anche solo l’ultima briciola di cultura attuale continuerà a resistere, ci sarà sempre qualcuno che cercherà di controllare le redini del gioco per arrivare a ciò che vuole.
La differenza tra oggettività e soggettività di una notizia sta nella creatività del giornalista che la riporta, che però non dovrebbe mai eccedere e diventare fantasia. E’ forse una repressione della libertà personale di chi scrive, quello che sto proponendo? Come mi sentirei se censurassero questo post per palese inutilità alla collettività?
Tutto sommato, farebbero anche bene. Zittitemi.
P.S. Mi riservo la possibilità di proseguire con le analisi dei punti 2 e 3 in futuro. Sicuramente avrò da documentarmi e perderci del tempo dietro, quindi non contateci nel breve termine, ma ogni promessa è debito e non mi piace lasciare le cose incompiute.